C’è una certa poesia nel vedere il 2025 iniziare con le stesse promesse con cui si è chiuso il 2024, e pure il 2023, e via dicendo fino al lontano 2012: “Siamo più vicini che mai al sogno”, annuncia Chris Roberts, CEO di Cloud Imperium Games. E quel sogno ha un nome: Star Citizen. O, se preferite, l’eterna promessa del gaming spaziale. Ma mentre l’universo si espande, anche il crowdfunding non scherza: oltre 800 milioni di dollari raccolti — e sì, il gioco è ancora in alfa. Non beta, non release candidate. Alfa. Dopo tredici anni.
Nel frattempo, l’umanità ha affrontato una pandemia, ha inventato auto che si guidano da sole (quasi) e ha fatto atterrare razzi riutilizzabili. Ma Star Citizen? Vaga ancora tra le nebulose delle promesse. La versione 4.0 dell’alfa, uscita nel dicembre 2024, ha finalmente introdotto il famigerato “server meshing”, una tecnologia che permette ai giocatori di spostarsi tra server senza soluzione di continuità. Sembra poco, ma è come costruire l’Iperloop in un condominio: tecnicamente incredibile, ma… e il resto?
Parlare di Star Citizen oggi significa entrare in un territorio che divide: da un lato i sognatori, quelli che hanno creduto sin dall’inizio nel visionario progetto di Roberts, e che magari oggi possiedono flotte di astronavi virtuali dal valore di una vera Tesla, dall’altro gli scettici, che osservano da lontano, ridendo amaramente mentre scorrono le notizie di nuove navi vendute a migliaia di dollari reali per un gioco che, per ammissione stessa degli sviluppatori, è ancora incompleto. Ma ridere non basta: il dato oggettivo è che Star Citizen incassa oltre 100 milioni di dollari all’anno dal 2022, tra microtransazioni, accessi anticipati, merchandising e abbonamenti. In un settore in cui molti studi AAA faticano a sopravvivere, Cloud Imperium Games continua a volare alto, sostenuta da una community che definire “dedicata” è riduttivo.
C’è qualcosa di quasi filosofico in tutto questo. Star Citizen è diventato un esperimento sociale oltre che tecnologico: cosa succede quando un gioco è finanziato senza limiti di tempo né budget? E quando i suoi stessi creatori smettono di fissare date? È un sogno che si autoalimenta, dove l’arrivo non conta più tanto quanto il viaggio. Ma può un gioco diventare così grande da non uscire mai? La risposta sembra essere sì. E questo ci dice qualcosa non solo sullo stato dell’industria, ma anche su di noi come giocatori: desideriamo ancora essere stupiti, sogniamo mondi impossibili, siamo pronti a spendere cifre assurde per vivere, anche solo in parte, un’avventura che ci promette la galassia.
Forse Star Citizen non uscirà mai nella forma definitiva che ci è stata promessa. Forse sarà sempre un work-in-progress. Ma se nel frattempo riesce a farci immaginare un futuro di viaggi interstellari, di mercati cosmici e battaglie epiche, allora una parte del suo scopo (almeno quella narrativa) l’ha già raggiunta. Il resto? Beh, ci risentiamo tra altri tredici anni.
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