Ci sarà un momento, nel mondo dei videogiochi (ma in generale nel mondo), in cui la realtà si piegherà alla volontà del capitale. Quel momento è (purtroppo) arrivato, e il suo protagonista ha un fisico statuario, un conto in banca ancora più solido e una nuova mossa speciale: Cristiano Ronaldo, sì, “quel” Cristiano Ronaldo, è diventato un personaggio giocabile in Fatal Fury: City of the Wolves.
No, non è una mod fatta da un fan eccentrico su Reddit. È canonico. È ufficiale. È reale. Ronaldo combatterà al fianco di Rock Howard e Tizoc, in mezzo a pugni, calci e tecniche marziali che sfidano la gravità. Il suo stile sarà una fusione tra arti marziali e calcio, ovviamente. Ma la vera novità non è neanche questa, forse, ma piuttosto è quello che la geopolitica sta facendo all’industria videoludica.
A prima vista, ha lo stesso senso di vedere un cammello nel circolo polare artico. Ronaldo, l’atleta portoghese simbolo del calcio mondiale, catapultato in un beat ’em up giapponese con decenni di storia alle spalle. Ma seguendo il filo dei soldi, tutto diventa stranamente chiaro.
SNK, lo studio dietro a Fatal Fury, è oggi controllato quasi interamente dal “fondo sovrano dell’Arabia Saudita“, guidato dal principe ereditario Mohammed bin Salman. Lo stesso che, tra le varie accuse internazionali, ha trasformato il suo impero finanziario in un’estensione culturale del suo soft power: film, eSport, streaming… e ora anche picchiaduro. Dall’altra parte, Ronaldo. Dal 2022 gioca per l’Al Nassr FC, club con sede a Riyadh e (indovinate un po’?) anch’esso sotto il controllo del Public Investment Fund. Due proprietà, una regia. Ed ecco il mash-up. Una scelta creativa? Forse. Ma più probabilmente un ordine dall’alto, e chi lavora nel gaming sa cosa significa quando il “capo” decide qualcosa. Il comunicato stampa parla di un Ronaldo che visita “South Town” nel tempo libero per affinare le sue “abilità calcistiche”. Una frase che non ha senso nemmeno dentro un sogno febbrile, ma che diventa sorprendentemente plausibile se si considera il contesto: Ronaldo non entra nel gioco per coerenza narrativa, ma perché oggi lo storytelling lo scrivono i bilanci.
Non è certo la prima volta che il potere economico plasma le trame del gaming, ma qui siamo davanti a un caso limite: Fatal Fury non è solo un brand, è un’icona anni ’90, piena di personaggi archetipici, stile manga, rivalità tra clan e lore esoterico. Inserire Ronaldo è come aggiungere Pippo Franco a Metal Gear Solid: puoi farlo, ma dovresti fermarti a riflettere.
Questa mossa (tra il marketing e la propaganda soft) solleva una domanda più grande: cosa succede quando gli universi immaginari diventano il terreno di gioco di miliardari che possiedono i diritti sia sui mondi virtuali che sui volti famosi? Quando il confine tra brand e persona si dissolve, e un calciatore può diventare, per diritto d’acquisto, un eroe da sala giochi? Non c’è nulla di “malvagio” in senso stretto in questa storia. È tutto trasparente, legale, perfettamente allineato con le logiche dell’intrattenimento globale del 2025. Ma è difficile non provare un brivido, una lieve inquietudine, davanti alla facilità con cui le icone culturali vengono scambiate, spostate, adattate al gusto (e alla strategia) di chi ha abbastanza zeri sul conto.
Ronaldo in Fatal Fury è il simbolo di un’epoca dove il denaro non solo produce realtà, ma le sceneggia. Dove non ci si chiede più “ha senso?”, ma “chi lo possiede?”. E in questo senso, il gol l’ha fatto davvero: è entrato nella leggenda videoludica, non con un joystick, ma con una firma sul contratto. E forse, sotto sotto, la prossima combo sarà ancora più assurda. Magari Elon Musk in Tekken, o Taylor Swift in Street Fighter. Ma dopo Ronaldo, niente ci stupirà più davvero.
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