Factorio: Space Age, quando l’industria interplanetaria non conosce limiti: la recensione

Factorio è sempre stato il sogno proibito di ogni aspirante ingegnere virtuale: un inno alla precisione, alla pianificazione perfetta e alla totale autonomia produttiva. Ma se il gioco originale ci aveva già portati al limite costruendo colossali fabbriche per alimentare un razzo in grado di sfuggire a un pianeta alieno, l’espansione Space Age eleva il concetto all’ennesima potenza. Qui non si parla più solo di fabbriche, bensì di intere catene di montaggio interplanetarie, di logistica spaziale, e di ingegno ingegneristico che sfiora il fantascientifico.

Dal razzo al cosmo: inizia l’Era Spaziale

Space Age non riscrive l’obiettivo ultimo di Factorio, ma lo trasforma in un trampolino per un’avventura galattica davvero senza precedenti. L’espansione comincia dove si conclude la storia del gioco base: hai costruito il razzo, sì, ma anziché lasciare il pianeta, ora lo userai per spedire componenti e avamposti nello spazio. Benvenuti alla piattaforma spaziale, il centro nevralgico di questa epopea tra le stelle. Da qui, grazie al “ghost builder” (una modalità di costruzione remota) dovrete mettere in piedi la vostra prima fabbrica orbitale, una struttura che, in perfetto stile Factorio, sarà produttiva e autosufficiente… a patto di saperla assemblare e rifornire al meglio.

Ma il vero fascino di Space Age non risiede solo nella piattaforma spaziale: la vera magia scatta quando si esplorano nuovi pianeti. Il primo, Fulgora, è un mondo di cumuli di spazzatura solidificata, una distesa di rifiuti dove non c’è un grammo di risorsa naturale da sfruttare nel modo tradizionale. Invece di estrarre minerali, si perforano montagne di ferraglia e plastica, da cui si estrae un mix di risorse avanzate e caotiche. In questo mondo, costruire una fabbrica significa pensare al contrario: riciclare prodotti complessi in risorse semplici. E come ciliegina sulla torta, ogni tanto le tempeste elettriche devastano il pianeta, richiedendo accumulatori e aste parafulmini per tenere attive le strutture.

Altri pianeti, come Vulcanus, sono più simili alle ambientazioni sci-fi classiche: un pianeta vulcanico dove estrai minerali direttamente dalla lava, ma dove la fauna, composta da enormi vermi demoniaci, cerca attivamente di distruggere la vostra fabbrica. Ogni mondo offre una sfida unica, una nuova impostazione produttiva e un’ambientazione aliena che riesce a essere tanto avvincente quanto impegnativa.

Logistica spaziale: sincronizzare piattaforme e pianeti

Ovviamente, quando ci si trova a gestire più pianeti, la logistica diventa fondamentale. Ogni razzo lanciato, ogni piattaforma che decolla, comporta un sistema di trasporto e distribuzione delle risorse che, se ben organizzato, rende Space Age un’opera d’arte dell’automazione. Si potranno costruire più piattaforme spaziali, trasformandole in cargo train che caricano risorse su un pianeta e le trasportano altrove ma, sebbene il pianeta terrestre offra ampio spazio per le strutture, lo spazio orbitale della piattaforma è limitato: bisogna sfruttarlo al massimo, scartando risorse superflue direttamente nel vuoto, una comodità che fa sentire ogni metro quadrato guadagnato come una piccola vittoria.

Viaggiare nello spazio, però, non è privo di pericoli. Accendere i propulsori della piattaforma è un’esperienza al cardiopalma: asteroidi giganti colpiscono la nave, e anche la minima mancanza di difese può trasformare un bel sistema di fabbriche in un cumulo di detriti in pochi secondi. La necessità di prepararsi ad ogni eventualità (difese anti-asteroide, scorte di pezzi di ricambio, stazioni di rifornimento) è un’ulteriore sfida per i giocatori, che devono valutare ogni passo con estrema attenzione.

Per quanto alcune meccaniche possano apparire complesse, e la quantità di opzioni logistiche sembri sopraffare i nuovi giocatori, Space Age è un capolavoro di design. Non è un semplice “sequel” di Factorio, né una “semplice” espansione: è un’ode all’ingegnosità umana, all’ottimizzazione, all’eccellenza produttiva, e sì, anche alla testardaggine di chi è pronto a passare notti insonni a vedere il proprio impero di metallo e cavi espandersi nel vuoto cosmico.


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