The Last of Us Part II, vale davvero la pena provare il porting per PC? | Recensione

Quando The Last of Us uscì per la prima volta, il mondo dei videogiochi si trovò di fronte a un’opera che ridefiniva il concetto di storytelling interattivo. Con una regia cinematografica strabiliante, interpretazioni di alto livello e un’intensità narrativa senza precedenti, il titolo di Naughty Dog si impose come un punto di svolta per il medium. Sette anni dopo, The Last of Us Part II si affacciò su un’industria profondamente cambiata, trovandosi a gestire aspettative enormi e una narrazione tanto ambiziosa quanto divisiva. Ora, dopo un’ulteriore gestazione e il successo della serie TV, il sequel approda finalmente su PC in una versione che promette miglioramenti e aggiunte. Ma regge davvero il confronto con le attese?

Chi temeva un disastro tecnico simile al porting del primo The Last of Us su PC può tirare un sospiro di sollievo: non siamo a quei livelli (ignobili) di caos, ma i problemi non mancano neanche qui. Su una configurazione con RTX 3060 Ti, il gioco si comporta bene nelle prime ore, ma quando l’azione si sposta nelle città invase dalla vegetazione, il frame rate inizia a mostrare incertezze, con sporadici stutter e problemi di caricamento delle texture. Nonostante il port sia tecnicamente più stabile del predecessore, il fatto che queste problematiche emergano su un PC che supera i requisiti consigliati non depone certo a favore dell’ottimizzazione.

Questa edizione include tutto quello che ci si aspetterebbe da un porting di qualità: supporto per ultrawide, HDR, opzioni grafiche dettagliate e una gamma di miglioramenti per l’accessibilità. Tra questi spicca la possibilità di trasformare il parlato in vibrazioni per i possessori di un controller DualSense, migliorando la chiarezza del dialogo per chi ne ha bisogno.

Ma la vera novità è che ci saranno due nuove modalità di gioco. La prima, una sorta di “free mode” per suonare la chitarra di Ellie, sembra più un extra simpatico che un’aggiunta sostanziale. La seconda, No Return, è invece una modalità roguelite che offre una serie di combattimenti casuali con nemici variabili, ricompense e un sistema di progressione. Stranamente, questo extra si rivela essere la parte più interessante del gioco: una formula che distilla la tensione e il gameplay del titolo senza il peso della sua narrazione ingombrante.

Se il primo The Last of Us raccontava una storia di paternità e umanità in un mondo disperato, il sequel esplora ciò che accade quando la sete di vendetta corrode ogni legame. The Last of Us Part II è un titolo recitato in maniera impeccabile, con un comparto sonoro e una regia che nulla ha da invidiare alle migliori produzioni cinematografiche. Ma nonostante tutto questo, il cuore della sua narrazione presenta delle crepe difficili da ignorare. Il tema centrale della spirale della violenza è trattato con empatia, ma anche con una certa superficialità. Il parallelo tra il conflitto tra il Washington Liberation Front e i Serafiti con situazioni geopolitiche reali appare forzato e, in alcuni casi, problematico. La sceneggiatura sembra ripetere ossessivamente lo stesso concetto: “la violenza genera solo altra violenza“, senza però scavare più a fondo nelle implicazioni morali delle scelte dei personaggi. A lungo andare, questa ripetizione rende il messaggio meno incisivo di quanto vorrebbe essere.

Sul fronte ludico, il gioco si divide tra fasi di esplorazione, combattimenti stealth e scontri aperti, ma la parte più riuscita resta sempre la gestione delle risorse e la tensione che si respira in ogni scontro: ogni pallottola conta, e ogni errore può essere fatale. La libertà di approccio è notevole, con un level design che incoraggia la sperimentazione e l’esplorazione di un mondo che sembra più vivo (o morto) che mai.

Alcune volte il livello di accessibilità diventa troppo pervasivo, come ad esempio durante alcune fasi esplorative che sono spesso interrotte da suggerimenti invadenti, come popup che ricordano di rompere il vetro di una finestra o di passare da una porta secondaria. Un altro aspetto che lascia un po’ interdetti a volte è che molti degli obiettivi si riducono a cercare un oggetto o seguire un personaggio fino al prossimo filmato e questo continuo alternarsi di momenti scriptati e fasi di esplorazione “controllata” può risultare frustrante per chi cerca più libertà. The Last of Us Part II resta in ogni caso un’esperienza audiovisiva di altissimo livello, con un combat system più che soddisfacente e momenti di puro spettacolo e tensione che difficilmente dimenticherete. E nonostante la sua narrazione divisiva, il ritmo talvolta forzato e le incertezze tecniche del port PC che impediscono al gioco di raggiungere la perfezione a cui aspira, rimane comunque una perla dell’intera storia dei videogiochi.

 


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