Di miracoli, nel mondo videoludico, se ne vedono pochi. Ma ogni tanto succede qualcosa che va oltre il prevedibile, oltre il marketing, oltre persino le aspettative degli appassionati. È quello che è appena accaduto con The Elder Scrolls IV: Oblivion Remastered, un ritorno tanto atteso quanto silenzioso, piombato nelle librerie digitali senza squilli di tromba, ma accolto come un vero re. Microsoft e Bethesda, con la complicità dello studio Virtuos, hanno rinnovato uno dei capisaldi del gioco di ruolo occidentale, riportandolo a nuova vita grazie alle tecnologie moderne.
Chi ricorda l’originale del 2006, ricorda anche lo stupore la prima volta che lo vide girare sul proprio computer: l’alba che filtrava tra le foglie, i dialoghi goffi ma affascinanti, quel senso di libertà che ti faceva uscire dalla prigione e camminare verso l’ignoto con gli occhi sgranati. Oggi, grazie all’Unreal Engine 5, quella stessa alba è diventata poesia visiva. Le foreste di Cyrodiil ondeggiano al vento con grazia, la luce danza sulle acque e le ombre si muovono come se avessero una coscienza. La prima reazione, appena caricata la partita, è un po’ spiazzante: il gioco sembra moderno, sembra nuovo, ma al tempo stesso ha un’anima familiare, con quel ritmo familiare che non ti chiede di correre, ma di esplorare.
Uno degli aspetti che più colpì al tempo fu il sistema di intelligenza artificiale Radiant AI. Gli NPC non erano semplici comparse, ma cittadini con una routine, con delle priorità, capaci di litigare tra loro o fermarsi a mangiare e svolgere azioni quotidiane della loro vita. Oggi questo sistema è stato potenziato con maggiore coerenza nei comportamenti e una varietà di animazioni che li rende finalmente… umani.
Ma non è solo la grafica ad aver fatto un salto quantico. Il sound design, completamente rielaborato, è un viaggio nel viaggio. I passi ovattati su un tappeto di muschio, le campane in lontananza al calar del sole, il rumore dell’acqua che scivola tra le pietre: ogni suono è calibrato per rafforzare l’immersività. E poi c’è la musica. Le note di Jeremy Soule, riarrangiate ma rispettose, riportano immediatamente “là”. Se avete giocato almeno una volta a questo capolavoro sapete esattamente cosa vuol dire passare un pomeriggio a girovagare per le colline di Tamriel, con queste melodie come sottofondo.
Il rischio, con operazioni del genere, è sempre lo stesso: esagerare. Cambiare troppo, snaturare, rincorrere le mode. Invece Oblivion Remastered sceglie la via della discrezione: migliora, ma non stravolge. Il sistema di combattimento, ad esempio, è stato reso più solido e reattivo. Colpire ha ora un peso, difendere restituisce un feedback fisico, e gli impatti sono visivamente e acusticamente credibili. Non siamo ai livelli di un Elden Ring, certo, ma rispetto al 2006, il salto è netto e lo stesso vale per la magia, resa più scenografica e accessibile senza perdere la profondità che l’ha sempre contraddistinta.
Anche l’interfaccia ha ricevuto un trattamento moderno: l’inventario è più leggibile, la mappa è finalmente utile, e le missioni sono gestite in modo più intelligente. Piccole modifiche, che però fanno la differenza nel lungo periodo. Certo, non è tutto perfetto. I bug ci sono, e sì, sono i soliti bug Bethesda. Nemici che fluttuano dopo la morte, scudi che si incastrano nel braccio, topi acrobati. Ma la verità è che non infastidiscono. Sembrano quasi un tocco di autenticità, un’imperfezione che rende il quadro più vero. In un mondo troppo levigato, il glitch diventa quasi poesia. Persino alcuni storici errori di doppiaggio sono stati mantenuti (che simpaticoni).
Con le espansioni Knights of the Nine e Shivering Isles incluse, il pacchetto è più che ricco e soddisfacente, soprattutto per chi non hai mai giocato a questo. E nonostante qualche compromesso tecnico su Steam Deck, anche lì l’esperienza resta godibile. Non è un ritorno al passato. È il passato che ritorna, e lo fa meglio di quanto avremmo potuto immaginare.
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