Silent Hill 2 Remake | A 23 anni di distanza, paura e terrore tornano in alta definizione

Sin dal primissimo Silent Hill, anno 1999, questo nome è sempre stato associato al terrore. Quando nel 2001, Silent Hill 2 fece il suo ingresso nel mondo dei videogiochi, segnò letteralmente un punto di non ritorno per questo genere. Per questo motivo rispolverare un titolo tanto amato e intriso di sfumature delicate non è un’impresa da poco, e il remake uscito qualche giorno fa, realizzato da Bloober Team, affronta la sfida con coraggio, ma non senza inciampare in qualche trappola.

Il primo impatto è senza dubbio positivo: dal punto di vista grafico il gioco sfoggia una gamma impressionante di opzioni e di accessibilità, permettendo a ogni giocatore di personalizzare l’esperienza secondo i propri gusti e necessità. L’inclusione del ray-tracing, abbinata a una gestione fluida delle impostazioni, rende Silent Hill 2 visivamente impattante, soprattutto dal punto di vista dell’atmosfera che riesce a ricreare. Secondo chi vi scrive, si sarebbe potuto fare un po’ di più con il modello poligonale dei vari personaggi (soprattutto umani), in special modo del nostro protagonista che sembra un po’ l’unico ad essere rimasto nel 2001, rendendo l’esperienza molto meno immersiva e “legnosa”.

Un lavoro encomiabile, invece, è stato fatto sul celebre “nebbione” di Silent Hill. In questo remake, la nebbia non è solo un filtro visivo, ma un’entità quasi viva che si muove e si espande, creando un’atmosfera opprimente e densa. James Sunderland, il protagonista, non si limita ad attraversare la nebbia: deve letteralmente farsi strada attraverso questa presenza minacciosa, donando al giocatore una sensazione di soffocamento e smarrimento che ben si sposa con la narrazione. Per chi non lo sapesse la nebbia di Silent Hill fu introdotta per motivi strettamente grafici (anche se poi sapientemente introdotta all’interno della lore stessa del gioco), in quanto era molto più semplice per la macchina (la gloriosa PS1) non dover gestire tutti gli edifici e gli altri modelli poligonali dopo una certa distanza, facendoli apparire così “piano a piano”.

La mappa di gioco, pur rimanendo fedele alla struttura originale, ha subito una totale rivisitazione, trasformando le aree chiave in qualcosa di nuovo e, allo stesso tempo, stranamente familiare. Questo è forse uno degli aspetti più riusciti del remake: gioca con la memoria del giocatore veterano, rimescolando luoghi e dettagli, creando una sensazione di déjà-vu che si trasforma rapidamente in disorientamento.

I ragazzi di Bloober Team hanno aggiunto dei nuovi indicatori visivi, come pezzi di stoffa bianca appesi qua e là, che guidano il giocatore verso oggetti o punti di interazione, una scelta che aiuta a ridurre la confusione in un mondo di gioco ricco di dettagli e visivamente complesso (e per la maggior parte del tempo, praticamente al buio). Nonostante questo tentativo di modernizzazione, il design spesso non riesce a compensare alcune delle scelte meno felici. I nuovi enigmi fisici, ad esempio, risultano il più delle volte ripetitivi e poco ispirati, mentre altri enigmi del gioco originale, che avrebbero potuto essere rivisti o eliminati, sono stati lasciati intatti, rivelandosi una scelta un po’ anacronistica.

Ma se da un lato Bloober Team dimostra di comprendere e rispettare il materiale originale, dall’altro sembra perdere di vista l’essenza più profonda del gioco, specialmente per quanto riguarda il combattimento. In Silent Hill 2, l’orrore non deriva solo dai mostri che riusciamo a vedere, ma dall’ignoto, da ciò che si nasconde nella nebbia e nelle ombre. Il remake, invece, sembra concentrarsi troppo sull’azione, riempiendo il gioco di combattimenti che finiscono per appiattire l’atmosfera (un po’ come succedeva in Downpour). I mostri, pur visivamente fedeli alle orribili creature del passato, appaiono con una frequenza tale da far perdere l’effetto di paura e sorpresa e rischiando di trasformare il gioco in uno shooter in terza persona più che un horror psicologico. Dopo un po’, la ripetitività delle battaglie porta più noia che terrore, un qualcosa che non dovrebbe mai accadere in un gioco che dovrebbe evocare inquietudine e tensione continua. Il problema si acuisce nei combattimenti contro i boss, che nel remake sono stati allungati e resi più difficili. Purtroppo, questo rende ancora più evidente quanto questi scontri siano inappropriati per un gioco che punta tutto sull’esperienza psicologica e non sulla pura azione. James Sunderland è un uomo comune, non un soldato addestrato, e il tentativo di farlo sembrare un eroe d’azione risulta forzato e fuori luogo e soprattutto fuori dal contesto originale del capolavoro di Konami.

Dove il remake eccelle, però, è nella ricreazione dell’atmosfera sonora e visiva. Le nuove versioni dei brani originali di Akira Yamaoka sono un piacere per le orecchie, e l’attenzione ai dettagli nel ricreare gli ambienti classici di Silent Hill è a dir poco impressionante. Il team ha fatto un lavoro davvero perfetto nel riproporre quei momenti che hanno reso l’originale un capolavoro, con dei giochi di luci ed ombre che si sposano perfettamente con un comparto sonoro che riesce sempre ad accompagnare il giocatore in questo viaggio nel terrore.

Nonostante questi momenti di rara bellezza, il remake di Silent Hill 2 soffre di una mancanza di equilibrio tra modernizzazione e fedeltà all’originale. La paura sottile e psicologica che permeava l’originale è troppo spesso soppiantata da un numero esagerato di mostri e combattimenti inutilmente prolungati. Certo, quando il remake funziona, lo fa in maniera eccellente, ma nei suoi punti più deboli lascia intravedere una comprensione superficiale di ciò che ha reso l’originale tanto amato.


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