Sega Activator, quando il futuro arrivò troppo presto

C’è una linea sottile tra genio e follia, e negli anni ‘90 l’industria dei videogiochi si divertiva a ballarci sopra con la grazia di un elefante in una cristalleria. Tra i tanti tentativi di “rivoluzionare” il gaming, uno si è scolpito nella memoria collettiva non per il suo successo, ma per il coraggio (o forse l’ingenuità) di sognare troppo in grande: il Sega Activator.

Immaginate di essere nel 1993. Street Fighter II sta dominando le sale giochi, le console casalinghe si affollano di picchiaduro, e Sega decide che il futuro non è nel semplice joystick, ma nel vostro intero corpo. Così nasce l’Activator, un controller esagonale futuristico che prometteva di trasformare il soggiorno di casa in una palestra marziale.

Che cos’era l’Activator?

Il Sega Activator era un anello ottagonale da posizionare sul pavimento in cui ogni lato era dotato di sensori a infrarossi, che rilevavano i movimenti del corpo e li traducevano in comandi per il gioco. Tiravi un pugno in avanti? Il personaggio sullo schermo lo imitava. Davi un calcio? Ecco un calcio virtuale. Sulla carta, era un sogno futuristico. Nella pratica… beh, ci arriviamo.

Progettato per il Sega Megadrive per titoli come Mortal Kombat e Street Fighter, il controller prometteva un livello di immersione mai visto prima. Ma il problema era uno: non funzionava come pubblicizzato. Dovevi muoverti in modo così preciso e artificiale che l’unico effetto garantito era l’esaurimento nervoso, non l’adrenalina di un vero combattimento.

Un combattimento contro il destino (e contro sé stessi)

L’Activator aveva un fascino indiscutibile, soprattutto nei primi spot televisivi. Mostravano ragazzi che lottavano con movimenti da ninja, circondati da effetti speciali luccicanti. Ma quando lo installavi in casa tua, la realtà era ben diversa. Prima di tutto, il posizionamento era cruciale. Se mettevi male anche solo uno dei sensori, il sistema non capiva cosa stavi facendo. Secondo, le movenze richieste erano così innaturali che sembrava di dover seguire un corso di yoga per robot. E poi c’era il problema della lag. Quei sensori a infrarossi (per quanto futuristici per il tempo) erano lenti e spesso confusi e ci si ritrovava così a fare gesti frenetici per poi vedere il personaggio restare fermo o, peggio, muoversi nella direzione opposta.

Nonostante i suoi difetti (o forse proprio per quelli) il Sega Activator rimane un qualcosa di totalmente futuristico. È un simbolo di un’epoca in cui i produttori di videogiochi non avevano paura di rischiare, di immaginare qualcosa di straordinario anche a costo di fallire (come infatti fallì). Certo, l’Activator fu un flop commerciale, ma la sua visione era avanti anni luce, tanto che una seconda iterazione di tale tecnologia nel mondo dei videogiochi si ebbe solo con l’introduzione del Kinect di Microsoft moltissimi anni dopo (e fu un fallimento anche quello, ma questa è un’altra storia)

Oggi il Sega Activator è diventato un oggetto di culto, relegato per sempre a rimanere in disuso nella casa di qualche collezionista . Forse non riusciva a mantenere le sue promesse, ma il suo cuore era al posto giusto: voleva portarci nel futuro, ma le persone (o la tecnologia) non erano pronte.


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