Con “Operazione Nostalgia” vogliamo dare vita ad un format che dia la possibilità a tutti i nuovi videogiocatori di recuperare alcune perle del passato videoludico, e ai giocatori di lunga data (come me) far scendere una lacrimuccia di nostalgia nel rivivere per un attimo i gloriosi giochi del loro passato. Ovviamente i giochi saranno scelti da me (chi altri se no?) e non potevo che iniziare questo viaggio nel passato che dal gioco che mi ha fatto innamorare del mondo dei videogiochi: Indiana Jones and the Fate of Atlantis.
LucasArts, quella fucina leggendaria di avventure grafiche, dopo il successo de L’Ultima Crociata, era pronta a dare nuova vita al famoso archeologo con frusta e fedora. Ma cosa succede quando tutti i pezzi grossi del cinema sono impegnati altrove? Entra in scena Hal Barwood, un regista con una penna affilata e una lunga amicizia con Spielberg e Lucas. Barwood prende le redini e, senza batter ciglio, scarta una sceneggiatura rifiutata per il terzo film di Indiana Jones (maledetti!), tirando fuori un’avventura completamente originale. Così nasce Indiana Jones and the Fate of Atlantis, un gioco che cattura la quintessenza cinematografica di Indy e ci porta tra catacombe, nazisti e misteri senza tempo. È un titolo che si è guadagnato a pieno titolo il soprannome di “Indy 4”, come il sequel ideale alla trilogia classica (e sarebbe stato sicuramente molto meglio delle ciofeche degli ultimi anni).
Ambientato nel 1939, subito dopo le vicende de “L’Ultima Crociata“, Fate of Atlantis inizia con un’introduzione cinematografica che è una lezione su come usare i giochi per raccontare storie. Invece di catapultarci subito con i classici puzzle, ci ritroviamo in un college americano, con Indy che inciampa nei guai quasi per caso, in uno dei più divertenti prologhi mai visti.
Nel cuore dell’avventura troviamo l’intramontabile duo Indy e Sophia Hapgood, una ex compagna di avventure, veggente dai capelli rossi che possiede un misterioso ciondolo. Le loro dinamiche sono al centro dell’azione e della narrazione: tra Indy e Sophia si respirano tensioni, battibecchi, un po’ di gelosia e molto sarcasmo, dando al gioco una verve che rispecchia perfettamente lo spirito cinematografico della serie.
Con più di 200 location che spaziano dalla New York anni ‘30 a templi Maya e deserti algerini, Fate of Atlantis esplora scenari che sembrano dipinti a mano in 256 colori VGA, capaci di evocare un’atmosfera senza tempo. Il Mondo Perduto di Atlantide è rappresentato con una grandiosità oscura, quasi sinistra, con architetture che mescolano riferimenti alla civiltà minoica e alle antiche leggende (tutte molto “attuali” per chi è avvezzo alle teorie della paleoastronautica). Bill Eaken e il suo team hanno creato ambienti che sembrano realmente intrisi di mistero, spaziando tra rovine e mercati caotici, popolati di dettagli animati che non solo decorano, ma danno vita a ogni singolo pixel. Gli sviluppatori, pur rinunciando a tecnologie innovative come lo scanner, hanno fatto un capolavoro grazie a pura maestria artistica, realizzando ambientazioni che sono rimaste scolpite nella memoria.
Nonostante la limitata tecnologia del 1992, Fate of Atlantis sfida il tempo: dalla colonna sonora indimenticabile (in MIDI) composta da Michael Land, Peter McConnell e Clint Bajakian, ai dialoghi, completati anche con doppiaggio nella versione CD-ROM (che io non avevo perchè avevo un 386), che restano memorabili, il gioco è un’opera d’arte che si tiene alta senza bisogno di grafica avanzata o motori fisici.
Una delle novità che distingue Fate of Atlantis è l’innovativo sistema dei “Tre Percorsi“: verso l’inizio dell’avventura, il giocatore può scegliere come proseguire, optando per il “Percorso Squadra” (con Sophia al fianco di Indy), il “Percorso Logica” (per chi preferisce risolvere enigmi logici) o il “Percorso Pugni” (dedicato a chi ama l’azione). Questo non solo aggiunge rigiocabilità ma crea una trama personalizzata, dove ogni percorso offre scenari, enigmi e sfide unici, con dialoghi completamente differenti ed enigmi altrettanto diversi. Fate of Atlantis brilla infatti per una trama ricca, dai toni spesso epici e la ricerca della città perduta di Atlantide è messa in scena come una corsa contro i Nazisti, capitanati dal dottor Ubermann, un folle scienziato ossessionato dal potere dell’orichalcum, un metallo leggendario con proprietà quasi magiche. Ubermann e il suo sinistro braccio destro, Klaus Kerner, fanno una splendida figura come villain di turno, rendendo Indy l’eroe contro cui il mondo è davvero schierato.
Gli enigmi, in pieno stile LucasArts, non sono per deboli di cuore. Seppure interessanti, a volte si avvicinano troppo al frustrante, portandoci a scavare nelle stanze cercando oggetti per un puzzle logico che a volte si perde in una complessità forse evitabile. Ma non lasciatevi scoraggiare: questi ostacoli non rovinano l’esperienza e anzi, riescono a rendere l’avventura ancora più avvincente per i veri appassionati del genere, riuscendo a trasmettere quella sensazione di sollievo e massima gioia quando si risolve un puzzle di questi.
Indiana Jones and the Fate of Atlantis è senza dubbio un must-play (come si direbbe oggi), una gemma che chiunque ami l’avventura deve provare almeno una volta nella vita. È uno dei rari casi in cui un gioco riesce a catturare l’anima del personaggio cinematografico su cui si basa, offrendo un’esperienza tanto coinvolgente da far dimenticare la realtà.
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