Clair Obscure: Expedition 33, la rinascita dei GDR strategici a turni | Recensione

C’è chi (come chi vi scrive) è sempre stato un appassionato dei vecchi giochi di ruolo a turni (alla Final Fantasy di trent’anni fa, per intenderci) e c’è chi ha sempre mal sopportato l’idea di dover attendere il proprio turno per attaccare in un videogioco. Così, tra nostalgici del turno puro e fautori dell’action più sfrenato, Clair Obscure: Expedition 33 si fa largo come un affascinante ibrido capace di sorprendere, conquistare e (soprattutto) innovare. L’opera prima di Sandfall Interactive, studio francese al debutto, è una dichiarazione d’amore alla vecchia tradizione giapponese degli strategici a turni, ma anche un coraggioso tentativo di ridefinire il genere secondo una sensibilità profondamente europea.

In bilico tra due scuole di pensiero, Expedition 33 non prende una vera e propria posizione, ma propone piuttosto un’alternativa: un sistema a turni in cui si agisce anche in difesa, si schiva, si para, si contrattacca (qualcuno ha detto Legend of Dragoon?). Il ritmo è quello di un Soulslike, la struttura è quella di un JRPG e il risultato è qualcosa di mai visto prima.

Il contesto narrativo è davvero tra i più affascinanti degli ultimi anni: un mondo decadente, modellato su una Belle Époque alternativa, in cui ogni anno la misteriosa entità chiamata “La Pittrice” cancella, senza pietà, tutti gli abitanti che superano un’età prestabilita. L’unico indizio è un numero dipinto su un monolito ciclopico, che scandisce il conto alla rovescia verso l’estinzione. Gustave (il nostro protagonista, chiaramente ispirato a Eiffel) guida la spedizione numero 33, l’ennesimo tentativo di porre fine a questo crudele rituale. Il design del mondo di gioco è un vero gioiello artistico: colori sfumati, paesaggi ispirati all’Impressionismo francese, città sospese tra vapore, ferro battuto e malinconia. L’isola di Lumière (Vecchia Lumière), luogo d’origine dell’avventura, omaggia i pionieri del cinema e introduce un’estetica unica, tra Jules Verne e Bioshock Infinite. Qui nulla è solo scenario: tutto concorre a costruire un’identità visiva estremamente potente, che lascia il segno più della trama stessa e che coinvolge e attrae come pochi altri titoli visti finora.

Ma è nel sistema di combattimento che Expedition 33 compie il suo atto più rivoluzionario. Gli scontri sono a turni, sì, ma non c’è passività o momento di noia. Ogni attacco nemico può essere evitato con una schivata ben calcolata o respinto con una parata perfetta, dando vita a coreografie fluide, dinamiche, quasi danzate. Ogni personaggio ha un proprio stile: Maelle, ad esempio, alterna pose di combattimento che sbloccano combo specifiche ad attacchi potenziati; Lune utilizza elementi naturali combinabili tra loro per generare effetti devastanti e visivamente mozzafiato.

La personalizzazione è decisamente profonda e stratificata attraverso i “picto” (incantesimi passivi collezionabili), con i quali è possibile modellare ogni personaggio su uno stile di gioco preciso. A questo si aggiungono statistiche, scaling delle armi (in stile Souls), e le “lumina”, che determinano l’equilibrio tra potenza e versatilità delle abilità sbloccate. Gli oggetti “Ritocco” permettono di resettare completamente la build e sperimentare nuove combinazioni, senza quindi punire il giocatore troppo curioso (come fanno certi altri giochi…).

A rendere l’avventura ancora più coinvolgente è l’interconnessione del mondo di gioco. L’imponente monolito che domina l’orizzonte sarà visibile da più zone, e torri, grotte, ponti e altopiani si riveleranno via via esplorabili grazie all’aiuto di Esquie, una creatura potenziabile che funge da mezzo di trasporto e chiave d’accesso all’endgame. Quest’ultimo è ricco e a tratti spietato, pensato per chi vuole mettere alla prova la propria maestria, con una serie di dungeon opzionali, boss segreti e missioni secondarie che vanno a completare un pacchetto già di per sé più che generoso.

Il comparto sonoro è una delle sorprese più riuscite dell’intero progetto grazie all’esordio di Lorien Testard (che ha una storia che meriterebbe un articolo a parte), che firma una colonna sonora che rifiuta qualsiasi forma di trionfalismo con temi musicali intimi, oscuri e intrisi di malinconia (come Expedition 33, tra l’altro). Il pianoforte, la voce femminile e occasionali inserti di fisarmonica delineano un’atmosfera profondamente europea, che ricorda da vicino i lavori di Yann Tiersen o certe suggestioni alla Nier: Automata di Keiichi Okabe. Ogni traccia sembra emergere direttamente dal cuore ferito di questo mondo, amplificandone le ombre e i silenzi che accompagnano il giocatore per tutta l’avventura.

Anche dal punto di vista tecnico, Expedition 33 impressiona e non poco, grazie anche al suo battle damage in tempo reale (con ferite, sangue e polvere che restano visibili anche fuori dal combattimento) che contribuisce a rafforzare la sensazione di un mondo intorno a noi vivo, crudo e violento. Il doppiaggio in lingua originale francese, con interpreti del calibro di Jennifer English, Andy Serkis e Ben Starr, conferisce ulteriore profondità a un cast già ben scritto e caratterizzato e che potrebbe avere benissimo una trasposizione cinematografica di successo.

Expedition 33 non è soltanto un JRPG ben riuscito ma un’opera che conosce e accetta le regole del gioco, e le piega con intelligenza per offrire qualcosa di nuovo, tornando un po’ indietro con gli anni ma allo stesso tempo evolvendosi in qualcosa mai visto prima. È una sfida alla stanchezza di questo mercato, un inno alla creatività e un manifesto del potenziale ancora inespresso del combat system a turni (che ci manca da morire). Andatelo a recuperare.


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