Il nuovo capitolo della leggendaria saga di strategia a turni è finalmente tra noi. Ma chi si aspettava un Civilization 6 potenziato, un’ode al minuzioso city management e alla diplomazia tattica, potrebbe trovarsi spiazzato. Civilization 7 sembra più un esperimento che un seguito diretto dell’opera precedente, con scelte di design che rendono l’esperienza più snella e veloce, ma a scapito di alcune delle complessità tanto amate dai veterani.
La novità più importante (e criticata) introdotta in questo nuovo Civ è il sistema di transizione tra le età: l’Antichità, l’Età dell’Esplorazione e l’Era Moderna. Ogni civiltà, invece di accompagnarci dall’alba dei tempi fino ai giorni nostri, cambia radicalmente ad ogni passaggio epocale. Potremmo iniziare con l’Egitto, proseguire con i Normanni e terminare con gli Stati Uniti, accumulando “Tradizioni” che plasmano il nostro percorso ma eliminando, di fatto, la continuità con una sola civiltà dall’inizio alla fine della campagna. Il tutto è scandito da eventi globali catastrofici: pestilenze, invasioni barbariche (anche se non esistono più), crisi economiche. Questi soft-reset sono un’idea abbastanza intrigante, pensata per evitare lo stallo tipico del late-game e garantire un continuo rimescolamento delle carte a lungo andare. Ma è proprio qui che si annida la prima crepa: perdere il senso di continuità della propria civiltà può risultare alienante.
Firaxis ha chiaramente puntato su un ritmo più dinamico. Dite addio, ad esempio, ai lavoratori manuali: ora i miglioramenti ai terreni si sbloccano automaticamente con la crescita delle città. I turni scorrono più rapidamente, le unità possono essere raggruppate in comandanti e gli spostamenti ferroviari permettono spostamenti istantanei tra le città. Anche le condizioni di vittoria, con i percorsi di Legacy basati su Economia, Cultura, Scienza e Guerra, sono più accessibili e con obiettivi chiari e “raggiungibili”.
Ma semplificare non significa sempre migliorare e il nuovo sistema di gestione delle risorse, che prevede di “slotare” beni tra le città, da un lato offre spunti tattici interessanti, dall’altro diventa un micromanagement abbastanza fastidioso nel late-game. La rimozione della diplomazia avanzata, con leader che sembrano semplici bot commerciali, riduce il fascino delle interazioni politiche, senza contare la scomparsa del Congresso Mondiale, che in Civ 6 introduceva dinamiche globali piuttosto intriganti e complesse. Se la diplomazia è stata appiattita, religione e spionaggio sono stati quasi sterilizzati. Niente più guerre di fede con fulmini divini, niente diffusione passiva della religione, niente scaramucce da guerra fredda con spie in grado di sabotare meraviglie o fomentare rivolte. Questi due sistemi sono stati del tutto abbandonati o comunque relegati ad essere opzioni più che secondarie, quasi decorative.
Civ 7 non è un brutto gioco, anzi: il nuovo sistema delle Età aggiunge varietà, la gestione delle città è più flessibile e il ritmo più veloce potrebbe anche far bene al comparto multiplayer. Ma per ogni miglioria, c’è un qualcosa che non va. I fan di vecchia data potrebbero trovare il tutto troppo “alleggerito”, come se Firaxis avesse confezionato un Civilization più console-friendly e meno sim-strategico. Con il tempo e le inevitabili espansioni (a pagamento), Civ 7 potrebbe ritrovare quel sapore complesso e sfaccettato che ha reso la serie immortale ma, per ora, resta un buon esperimento con qualche sbavatura. Se è una rivoluzione, è una di quelle che lascia il popolo diviso.
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