Di fronte alla sfida di riconquistare un pubblico esigente e nostalgico, Dragon Age: The Veilguard tenta l’impresa impossibile: accontentare tutti. Ma una storia che mira a essere perfetta per tutti può davvero entrare nei cuori degli appassionati?
Un’avventura che corre… forse troppo
Appena ci tuffiamo nei primi istanti di The Veilguard, siamo catapultati a Minrathous, un’ambientazione che ogni fan della serie conosce e attendeva di (ri)esplorare. Qui ci troviamo nei panni di Rook, un protagonista che condivide la scena con il caro e inossidabile Varric Tethras e infine scopriamo che Solas, l’enigmatico elfo dio, è ormai giunto a un passo dalla sua missione finale di distruzione. Siamo nel cuore di una catena di eventi che dovrebbero catapultarci in un’epica lotta per la salvezza del mondo. Solo che, stranamente, non c’è tempo per tirare il fiato. L’introduzione è disorientante anche per gli appassionati: passiamo da un’ambientazione all’altra, raduniamo compagni in stile velocissimo e sembra che BioWare abbia messo in secondo piano le pause narrative e le missioni secondarie che tanti apprezzavano.
Finalmente il ritmo giusto
Ma niente paura. Nel secondo atto, la storia finalmente rallenta e ci concede una tregua, portando con sé missioni secondarie interessanti e sfaccettate, e una maggiore immersione in ogni location esplorabile. È in questo atto che si sente il vero tocco di BioWare, con mondi dettagliati e sezioni più ristrette rispetto alle zone aperte di Inquisition. I dettagli grafici sono, a dir poco, mozzafiato: dai giardini sotterranei della Necropolis alla foresta di Arlathan, ogni scorcio del mondo di Thedas ci offre un piacere visivo continuo.
Comparto tecnico: una scommessa vinta?
Tecnicamente, The Veilguard è semplicemente stupendo. Le ambientazioni sono ricche di dettagli, i combattimenti fluidi e intensi e l’ottimizzazione su sistemi di fascia medio-alta risulta soddisfacente. Questa volta, niente aree vastissime e dispersive come le Hinterlands di Inquisition. La mappa di gioco è un equilibrio tra sezioni strette e labirintiche, risolvibili tramite abilità specifiche dei compagni, e zone di battaglia che permettono esplorazione e combattimento dinamico. Questa scelta rende il gioco fluido e ben organizzato, con un’interfaccia che snellisce il carico di gestione dell’inventario, rendendo l’esperienza complessiva più vicina a un action-adventure che a un classico RPG.
Una compagnia di eroi… troppo buoni?
Il cuore di ogni gioco Dragon Age sono sempre stati i compagni, e The Veilguard non è da meno. I membri del party sono ben delineati, con Davrin, il cavaliere Warden emotivamente tormentato, o Neve, il mago detective che tenta di risanare Minrathous. A volte, però, la scelta di BioWare di puntare su “personaggi, non ideali” lascia una sensazione di incompletezza. I compagni sono tutti in qualche modo “bravi ragazzi”, e mancano quei tratti controversi o caratterialmente spigolosi che li avrebbero resi figure polarizzanti come un tempo. Le opinioni forti, le ideologie in conflitto, quelle scelte morali grigie che rendono memorabili i personaggi, sono spesso semplificate ma forse è un problema più. Forse, semplicemente, anche i videogiochi stanno seguendo la strana filosofia dei tempi odierni nella non accettazione del “male” in ogni sua forma.
La battaglia contro il male… senza ombre
The Veilguard ci propone un obiettivo chiaro: fermare divinità maligne che minacciano di distruggere il mondo. Ma nel farlo, non propone il classico dilemma morale tipico della serie. In passato, giochi come Origins ci avevano messo di fronte a decisioni etiche complesse, scelte che mettevano alla prova i nostri valori e convinzioni. Qui, purtroppo, la lotta tra “bene” e “male” è troppo chiara, senza sfumature.
I combattimenti sono veloci, frenetici e ben implementati, con abilità che rendono le battaglie entusiasmanti, anche per chi aveva amato lo stile più tattico di Origins. Per la prima volta, possiamo persino lanciare attacchi aerei o scattare in parate adrenaliniche, una svolta che rende l’esperienza di gioco molto vicina a un hack and slash (alla Diablo, per intenderci). Il sistema di progressione del personaggio e delle abilità è semplificato, eliminando gran parte dei micromanagement tipici di un RPG, una scelta che alcuni apprezzeranno, altri meno.
Relazioni e il fattore “nostalgia”
BioWare non ha tralasciato il fattore relazionale, e il gioco offre interazioni abbastanza ricche e coinvolgenti con i membri del party. È piacevole vedere Rook e i suoi compagni discutere di una lista della spesa al Lighthouse, un nuovo hub dove possiamo interagire più a fondo con il nostro gruppo e sviluppare i vari rapporti che si andranno ad intensificare. La nostalgia, chiaramente, gioca un ruolo importante, tanto che i momenti più toccanti provengono dal ritorno di personaggi delle serie precedenti in momenti impensabili durante la campagna del gioco. È come se il gioco ci ricordasse costantemente il passato, senza voler osare del tutto con il nuovo.
Dragon Age: The Veilguard è un tentativo ambizioso di BioWare di riportare la serie a nuovi fasti, senza tradire completamente le sue radici anche se, nel suo desiderio di conquistare tutti, rischia di perdere un po’ del suo cuore che ci ha da sempre attirato. I fan della vecchia guardia sentiranno la mancanza della complessità e delle sfumature morali che hanno definito i capitoli precedenti, mentre chi cerca un’esperienza d’azione e di esplorazione troverà pane per i suoi denti. BioWare ha creato un gioco che non sarà dimenticato, con momenti visivi mozzafiato e battaglie che rimangono impresse, ma per un franchise che ha definito un genere, ci si aspettava una sfida morale più intensa.
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